“Un Fundagu” è l’espressione grottesca con cui ancor oggi nel dialetto montalbanese si fa riferimento ad un luogo sudicio e poco dignitoso. L’etimo è da ricollegare all’arabo “funduq” che nel medioevo indicava “una casa-magazzino” (o anche una “stalla”) per l’alloggio e l’appoggio dei mercanti, nella contrattazione delle loro merci. Col tempo il fondaco si configurò sempre più come albergo-locanda, un edificio a più piani che poteva raggiungere le dimensioni di un intero quartiere. Era anche un importante centro di scambi e negoziazioni mercantili, una dogana governata dal balivo, il giudice delle controversie economiche.
Recenti ricerche ed un articolo apparso sul Settimanale Centonove del 27 settembre 2013 di Giuseppe Pantano, hanno riportato all’attenzione collettiva una costruzione in contrada Argimusco a pochi metri dall’ingresso dell’omonimo sito megalitico. L’edificio, secondo Pantano, ubicato lungo la vecchia trazzera regia che ripercorreva i tracciati romani in direzione di via Valeria sulla costa Tirrenica, sarebbe proprio un antico fondaco medioevale.
A testimoniarlo: la notizia di Isidoro Testaferrata del 1817 che vi fa espressa menzione insieme a quello del Piano di San Giovanni (al centro), la prova dell’esistenza di diritti doganali riscossi per conto dei signori feudali dai Capitoli della Catapania e della Dogana di Montalbano del 1706 (quello dell’Argimusco era un punto di passaggio obbligato per accedere alle Terre di Montalbano), nonché la vicinanza con la contrada “Colle Barriera”, la cui denominazione lascia intendere le funzioni di confine e dogana sopra citati. Si aggiunge poi una lettera del re Federico III al fratello Giacomo d’Aragona del 1308 inviata dall’Argimusco e quelle poche, ma evidenti, tracce architettoniche, che suggeriscono quale fosse la sua conformazione originale: un unico ambiente sovrastato da una volta a botte di circa 4,5 m ed un passaggio murato al centro di essa, segno della preesistenza di uno o più piani elevati.
Il tempo e gli interventi scellerati dell’uomo hanno ormai stravolto l’aspetto del fondaco dell’Argimusco, che attualmente appare come un cubo a pianta quadrata, cui si accede da una porta architravata e sovrastata da un arco ogivale in conci appena sgrossati. Nonostante ciò Pantano suppone che in passato, l’edificio somigliasse ad una torre stilisticamente collegata a quelle del Castello, la cui costruzione è attribuibile alla “fase della Contea” con Bonifacio Anglona Lancia, zio del Re Manfredi.
Francesca Bisbano