Emblema della tradizione gastronomica nebroidea, la provola è un formaggio prodotto anche a Montalbano Elicona.
La provola si differenzia dalla scamorza per la tipica forma a pera, dotata di “testa” più piccola e strozzata, e seconda del peso può essere consumata sia fresca che stagionata. Prodotta con latte vaccino selezionato, ha una pasta bianca tendente al paglierino. La consistenza è morbida e compatta. Il sapore è dolce e delicato, lievemente acidulo e tendente al piccante soprattutto se stagionata.
Il suo nome trae origine dal fatto che era la “prova”, cioè il campione, che veniva immerso nell’acqua bollente per stabilire se la cagliata era pronta per la filatura. I primi riferimenti storici a questo tipo di formaggio risalgono al 1400 e si ritrovano nei calmieri per la vendita al minuto nei mercati delle principali città siciliane. Già allora la provola era considerata un prodotto di pregio, tanto che in alcuni contratti di gabella, redatti fra il quattrocento e il seicento, la troviamo elencata come uno dei prodotti alimentari da consegnare annualmente al gabellotto, quale canone di affitto del fondo rustico.
Secondo lo storico e antropologo Antonino Uccello, la provola ha avuto origine nella zona di Floresta e da lì si è diffusa a Ucria, Montalbano Elicona, Basicò, Patti, Tortorici, San Piero Patti, Librizzi, Galati Mamertino, Alcara Li Fusi, Roccella, Valdemone, Tripi, Mirto, Longi, Castell’Umberto, S. Teodoro, Naso, Caronia, S.Fratello, Cesarò, Capizzi, Mistretta, Castel di Lucio, Tusa, Pettineo, Santo Stefano di Camastra, Motta D’Affermo nella provincia di Messina e Randazzo nella provincia di Catania.
Sempre lo stesso Uccello nel libro “Bovari, pecorari e curatuli” edito negli anni ’80, raccoglie le testimonianze di vecchi casari sulle tecniche di produzione della provola. L’autore ricorda che nella zona dei Nebrodi è d’uso apportare una variante alla lavorazione di questo formaggio destinando la tuma alla realizzazione di caci figurati, che fecero il loro ingresso ufficiale nella “Mostra etnografica siciliana” di Palermo nel 1892.
La testimonianza prodotta da Uccello è essenziale per ricostruire le fasi della caseificazione, che avviene una volta al giorno, aggiungendo al latte della sera quello munto al mattino. Il latte, che non subisce alcun trattamento termico, viene filtrato attraverso un telo o setaccio e versato in una tina di legno in cui viene aggiunto il caglio di agnello o di capretto, secondo un dosaggio basato sulla personale esperienza del casaro. Dopo che la cagliata viene rotta con la rotula e portata alle dimensioni di un chicco di riso, la massa caseosa detta “tuma” si lascia sedimentare: la raccolta e coartazione dei grumi residui, ancora sparsi e separati dalla massa, viene coordinata manualmente, girando abilmente un bastone di legno attorno alle pareti della tina.
La tuma, così separata dal siero, viene tagliata in quattro pezzi con il tipico coltello da tuma, per agevolarne il prelievo dalla tina. Il siero, invece, viene separato dalla tuma con la cisca (secchio in
legno) e versato in un recipiente di rame stagnato che serve per la produzione della ricotta. A questo punto la tuma tagliata viene posta a riposare su un ripiano di canne per favorirne lo spurgo.
Dopo circa un’ora il casaro rimette il formaggio nella tina, coprendolo con la scotta calda residua dalla preparazione della ricotta e contenente una certa quantità di siero inacidito. Successivamente la pasta acidificata viene pressata e appesa fino al giorno seguente su un bastone di legno, in modo da favorire un ulteriore spurgo.
Decorse circa 24 ore la tuma, tagliata a fette, viene posta in un recipiente in legno di forma tronco-conica, (alto circa 50 cm) e ricoperta di scotta calda per favorirne la filatura. Le listarelle di tuma si lavorano con la manovella in modo da favorire la loro saldatura fino a formare un grosso gomitolo plastico che si farà stirare appendendolo a cavallo della stessa manovella.
A questo punto la pasta filata stirata viene tagliata in porzioni corrispondenti ciascuna ad una provola, che in seguito saranno immerse nella scotta calda perché si ammorbidiscano ulteriormente. Ogni porzione di pasta viene poi modellata riunendo i lembi verso l’interno, così da conferirgli una forma sferica. Successivamente si preme nella parte media superiore, strozzando e sfilando verso l’alto con il palmo della mano per formare una specie di collo.
Ottenuta la provola, questa dovrà essere bagnata con acqua fredda e immersa in una salamoia satura a
temperatura ambiente. Dopo la salatura le provole vengono legate a coppie con un filo di rafia ed appese a cavallo di una pertica, per essere lasciate riposare in un luogo fresco e ventilato.
Curiosità:
La stagionatura ha una durata variabile da dieci giorni fino ad un mese per il prodotto fresco, di 3-4 mesi per il semistagionato e oltre per lo stagionato.
Le provole migliori per la stagionatura sono quelle prodotte nel periodo tardo primaverile quando è maggiore la disponibilità di essenze foraggere spontanee. Di norma una provola stagionata ha un peso che oscilla tra i 4 e i 5kg
Abbinamenti:
A tavola la provola si fa sempre apprezzare per il suo gusto delicato e deciso. Regina dei taglieri, dove si trova accoppiata sempre col salame e i salumi dei Nebrodi, il suo sapore può essere maggiormente esaltato con una spennellata di marmellata di sambuco o rosa canina.
Immagini tratte da Cibus Borghi- Antichi Sapori Montalbano Elicona Official Page
e dal sito web LaSiciliainRete
Articolo di Redazione – Vietata la Riproduzione